Un teatro senza leggi
“Il teatro è un diritto e un dovere per tutti. La città ha bisogno del Teatro. Il Teatro ha bisogno dei cittadini” (P.G.)
Credo di poter affermare che, fin dalla nascita dello Stato italiano, il teatro non abbia mai goduto del favore delle alte sfere della politica.
Già a partire dal periodo appena successivo al Risorgimento, infatti, il teatro veniva considerato come una qualsiasi altra attività commerciale e purtroppo, a oggi, la situazione non è mutata di molto.
Il teatro italiano si è trovato ad arrancare nel più completo disinteresse da parte della politica fino al 1921, quando hanno iniziato ad arrivare i primi contributi pubblici.
È solo durante il Ventennio Fascista che il teatro sembra trovare una sua collocazione: lo Stato infatti, attraverso strumenti quali la censura, decide di disciplinare in maniera capillare le produzioni, facendo rientrare il mezzo teatrale tra i metodi più efficaci di propaganda.
I primi presupposti per un sostegno pubblico sembrano divenire realtà nel 1947, a seguito dell’inaugurazione a opera di Giorgio Strehler e Paolo Grassi del Piccolo di Milano, “Teatro d’arte per tutti”.
Questo primo accenno di progresso resta tuttavia solo fumo negli occhi: a partire dal 1949 si inaugura in Italia un lungo periodo denominato “era delle circolari”, che si chiuderà soltanto nel 1999, durante il quale il sostegno all’attività teatrale consisteva in circolari di durata annuale recanti le caratteristiche necessarie per poter usufruire dei finanziamenti pubblici. Questi documenti, proprio a causa della loro durata annuale, non permettevano di lavorare su obiettivi duraturi e su progetti di ampio respiro.
L’unico orizzonte a cui i lavoratori del settore potevano permettersi di guardare era la pubblicazione della circolare dell’anno successivo.
Il 1985 è stato un altro specchio per le allodole. Quando venne istituito, il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), doveva essere un fondo pubblico da cui attingere i finanziamenti da destinare alle attività culturali di spettacolo dal vivo. Dico specchio per le allodole perché anche questo escamotage non ebbe mai vita facile, rimanendo vittima delle costanti oscillazioni di capitale che non permettevano nemmeno in questo caso il raggiungimento di obiettivi stabili di anno in anno.
In tutto questo periodo intanto ci si rendeva sempre più conto della necessità di una legge organica che regolasse il settore dello spettacolo una volta per tutte. Sebbene questa necessità stesse diventando sempre più importante non si giunse mai a un accordo. Fallirono nell’intento anche Giorgio Strehler e Willer Bordon, autori nel 1988 di un progetto legge fra i più autorevoli mai realizzati in questo ambito.
A seguito della crisi del 2008 le cose non sono certo migliorate. In special modo per il teatro di prosa. Oltre il crollo della spesa pubblica per la cultura, i criteri per accedere ai finanziamenti del FUS sono diventati sempre più selettivi, e il teatro in prosa tra le tante categorie è stato quello che ha registrato la maggiore contrazione degli stanziamenti (-22,9% nel 2014). (Mimma Gallina, Ri-organizzare teatro)
Due degli ultimi governi, il Governo Letta (2013) e il Governo Renzi (2014) hanno provato a mettere mano nell’intricato mondo della legislazione dello spettacolo, arrivando a due risultati utili, ma sicuramente non definitivi. I decreti Valore Cultura (2013) e Nuovi Criteri (2014), nonostante le promesse iniziali, sono stati fiamme che si sono presto consumate.
Viene quindi da chiedersi come sia possibile che una delle forme artistiche più antiche al mondo sia diventata il fanalino di coda delle preoccupazioni politiche contemporanee.
Ritengo di poter dire che siamo di fronte a una grande sottovalutazione del teatro. Da parte di chi invece dovrebbe insistere sul suo valore. È in periodi come questo che bisognerebbe investire maggiormente sul teatro, non solo in quanto mezzo di svago, ma soprattutto per la sua importante funzione sociale.
In un momento di grande incertezza come quello attuale il teatro potrebbe aiutarci a indagare noi stessi e la nostra realtà, e magari aiutarci ad avere un quadro più chiaro della situazione. È di questo che la politica sembra non rendersi conto, dell’immenso potenziale sprecato del teatro contemporaneo, ormai più preoccupato di compilare bandi e leggere circolari che di lavorare sulla sua arte.
“La politica non ha mai capito il teatro, non si rendono conto di sovvenzionare la vita. Come gli architetti, che costruiscono teatri brutti, senza acustica, perché non hanno la cultura per sapere che il teatro è la cosa più importante inventata dall’uomo, il paradigma di ogni attività umana” (Gabriele Lavia)