Sinossi

Il mito di Antigone è uno dei più conosciuti e controversi della letteratura greca. All’origine del mito c’è il destino di una famiglia maledetta, costretta a distruggere sé stessa. Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, si battono per il governo della città di Tebe e nella battaglia si uccidono a vicenda. Il nuovo sovrano, Creonte, dà l’ordine di lasciare insepolti, pena la morte, i corpi dei nemici caduti, tra i quali quello di Polinice. Antigone, mossa da un sentimento di pietà e di amore, decide di contravvenire agli ordini del sovrano, venendo colta sul fatto. Riappare quindi il dramma della famiglia destinata a distruggersi con le sue stesse mani: ora lo zio è costretto a mettere a morte la nipote colpevole di aver reso giustizia al fratello morto.
Al mito originario si sovrappone la visione di Jean Anouilh, che scrive la sua “Antigone” nel 1942. Qui vengono meno gli schemi del potere tirannico: la tragedia è calata in un presente asfittico nel quale tutti si possono riconoscere, dove i tiranni sono in realtà tecnocrati, dove Creonte è un “principe senza storia” che fa rispettare le leggi perché costretto, e che tuttavia non esita a offrire ad Antigone una via d’uscita. In questa versione tutto viene demolito: le tradizioni, le ideologie, come se niente fosse più importante e non valesse più la pena lottare per nulla. In questo quadro, Antigone sembra essere l’unico personaggio ancora fedele a sé stesso, l’unica disposta a lottare per l’idea in cui crede, l’unica disposta a sacrificarsi nonostante la paura, nonostante l’offerta di salvezza di Creonte, nonostante le preghiere della sorella Ismene e del fidanzato Emone. Antigone sceglie di morire perché si rende conto che il suo destino tragico è segnato e nessuno può più farci niente. In questa tragedia non ci sono più stelle fisse a cui aggrapparsi. Tutto è relativo, i punti di vista dei personaggi si scambiano e si accavallano l’uno all’altro senza produrre reali effetti. Antigone è l’unica in grado di prendere decisioni, ma la tragedia non è più solo la sua. È anche la tragedia di Creonte, un uomo che “gioca al gioco difficile di guidare gli uomini”, senza passione, come un operaio più che come un mentore. Una tragedia che ci mostra la miseria, che forse è anche la realtà degli uomini.
Una tragedia che attraverso ogni sua parola ci dimostra che non c’è più speranza, che non c’è via d’uscita, che tutti sono costretti a ripetere sempre gli stessi errori, e che è troppo tardi per tutti quanti.

  • 16 – 17 – 18 novembre 2018 | ore 21.00 | Modena, Via Bolzano 31
  • Ingresso € 10.00

Regia: Giuseppe Savastano

In scena: Giulia Cipolli, Cecilia Colavito, Graziano Degani, Susanna Ferretti, Mattia Manfroni, Donatella Merli, Maurella Testi.

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