Napoli Teatro Festival
Si è svolta durante il mese di luglio l’edizione 2018 del Napoli Teatro Festival.
Arrivato quest’anno alla sua undicesima edizione, il festival partenopeo ha portato nel capoluogo campano diversi importanti spettacoli, nazionali e non.
Un programma ricco che si è articolato tra italiani e internazionali, musica, danza e cinema, progetti speciali, laboratori, mostre e altro ancora.
In particolare, si sono poi svolti alcuni laboratori a mio parere degni di nota, tra cui il Laboratorio sull’attore tenuto da Punta Corsara – compagnia nata come progetto d’impresa culturale della stessa Fondazione Campania dei Festival; un laboratorio intitolato Le corps sauvage – Il corpo selvaggio – a cura di Gilles Coullet; il laboratorio Mente Collettiva tenuto fra gli altri da Eugenio Barba.
Ritengo poi che alcuni degli spettacoli proposti assumano particolare rilievo.
Nella sezione Internazionali era presente il nuovo spettacolo di Thierry Collet, Dans la peau d’un magicien.
Il mago francese decide, questa volta, di mescolare ai numeri magici una storia da raccontare, la sua. Dalla scoperta della magia, ai primi esperimenti, fino al presente, quello che ci presenta Collet è un viaggio interiore che, attraverso la magia, ci permette d’indagare l’interiorità di un prestigiatore di professione. Un’idea a mio parere azzeccata, che permette di mettere in scena non il solito spettacolo di magia, ma di vedere la magia nella sua accezione più quotidiana e di indagare e magari capire il legame che intreccia con la vita quotidiana di coloro che la praticano, fino ad entrare a pieno diritto “nei panni di un mago”.
Anche un secondo spettacolo della sezione Internazionali si pone l’obiettivo di farci guardare a questioni che consideriamo “quotidiane” con occhio diverso. Lo spettacolo è Clown 2 ½, con la regia di Roberto Ciulli e prodotto da Theater an der Ruhr. Questo lavoro vuole far riflettere lo spettatore sulla vecchiaia.
Declassata da età della saggezza a età della debolezza, spesso la vecchiaia viene vista e vissuta come una serie di giornate sempre uguali, scandite da regole ferree e non modificabili.
Il cambio di punto di vista avviene qui grazie a un gruppo di clown: questi sono in grado di portare brio anche nel mondo della vecchiaia, così come hanno fatto durante tutto il corso della loro vita. Un modo innovativo per riflettere su una questione considerata poco importante, e per mostrare come tutto possa cambiare, se lo si vuole davvero.
Nella sezione riservata agli spettacoli a firma italiana del festival sono poi presenti 2 spettacoli che cercano di rileggere Shakespeare sotto la lente della contemporaneità.
Il primo spettacolo è Abitare la battaglia (Conseguenze del Macbeth).
“[…] e se la liberazione non esistesse realmente? Se la liberazione fosse abbracciare la corruzione della mente e dell’animo, anziché allontanarsene, in uno slancio vitale che travolge tutto?” (dalla sinossi dello spettacolo)
Attraverso l’analisi della tragedia scozzese, quello che la drammaturga Elettra Capuano si propone di portare a termine è un’analisi del male e del modo di vederlo e di sentirlo in rapporto alla vita degli uomini. Un male che non viene purificato da nulla, che non ha speranza di giungere alla catarsi. Come a volerci dire che gli uomini compiono il male con il solo scopo di imprimere a fuoco la loro impronta sulla terra, prima di doverla lasciare senza aver realmente concluso nulla.
Il secondo spettacolo è Who is the king. In questo caso la rivisitazione è più massiccia, quanto meno a livello di struttura: il progetto di Lino Musella, Andrea Baracco e Paolo Mazzarelli mira a interpretare i drammi storici di Shakespeare all’ombra delle moderne serie televisive.
Un’idea che può sembrare bizzarra a primo impatto, ma che tuttavia ha il pregio di dare continuità alla storia dei re narrati da Shakespeare. Una storia che non parla di redenzione, semmai di dannazione: partendo dal mite Ricardo II, attraverso le vicende di Enrico IV, Enrico V ed Enrico VI si giunge alla vicenda sanguinario re Riccardo III.
Una storia divisa in quattro “episodi”, che segue appunto lo schema delle moderne serie, che è in grado di raccontare, attraverso le parole del Bardo, la controversa storia del popolo inglese.
Ritengo che in questa edizione da poco conclusa il festival di Napoli sia stato in grado di mostrare e farsi portatore di idee e realtà diverse, di dimostrare che non esiste un solo punto di vista e che la contemporaneità può essere molto più complessa di quello che si pensa.