Credo sia giunto il momento di concludere il discorso che è stato fatto finora, e ho pensato di farlo parlando di due esempi di compagnie italiane che sono state in grado di presentare i loro spettacoli e i loro progetti all’estero, anche se in contesti molto diversi fra loro, per periodo e luogo di svolgimento.
Il primo esempio di cui vorrei parlare è un progetto portato avanti tra il 2002 e il 2004 dalla Societas Raffaello Sanzio.
Ideata e diretta in ogni sua parte da Romeo Castellucci, Tragedia Endogonidia, questo il nome del progetto, si compone di 11 spettacoli, ognuno indipendente dal precedente e dal successivo, realizzati in 10 tra le più importanti città europee. Il tema comune che caratterizza questa serie di spettacoli è il racconto della storia di eroi del nostro tempo.
Eroi tragici dunque, senza possibilità di redenzione, rinchiusi nella loro solitudine e nell’impossibilità di comunicare, di essere salvati – o quantomeno capiti – da nessuno.
Per questa ragione Tragedia Endogonidia può essere considerata come una “tragedia del linguaggio” (Maria Cristina Reggio, Ipotesi di un ascolto tragico), in cui l’incomunicabilità diventa il filo rosso che lega gli Episodi.
Gli 11 Episodi di cui si compone Tragedia Endogonidia non hanno un titolo, se non la lettera iniziale della città in cui nascono e un numero progressivo:
#01 Cesena | #07 Roma |
#02 Avignon | #08 Strasbourg |
#03 Berlin | #09 London |
#04 Bruxelles | #10 Marseille |
#05 Bergen | #11 Cesena |
#06 Paris |
Gli Episodi non traggono spunto da un testo, ma da un luogo. (Maria Cristina Reggio, Ipotesi di un ascolto tragico) Gli attori della Societas sono riusciti in questo modo a creare un legame molto stretto tra ogni Episodio e la città in cui veniva messo in scena, perché proprio da questa lo spettacolo si originava. Come afferma Maria Cristina Reggio nella sua analisi del ciclo di spettacoli:
“[…] i suoi autori hanno voluto mettere alla prova il sistema della rappresentazione teatrale come luogo nel quale ripensare la tragedia, ipotizzando un teatro portatore di un significato definibile come tragico, proprio nell’epoca contemporanea in cui si è presa distanza da una concezione del mondo fondata sul mito, sul destino e sulla colpa.”
Una Tragedia che parla del nostro tempo, delle problematiche quotidiane e comuni derivanti dall’impossibilità sempre più marcata di comunicare con gli altri. Una Tragedia di frantumazione, dove gli eroi non possono affermare la propria unità, la propria soggettività proprio a causa del loro isolamento. Una Tragedia che tuttavia si gioca sul controsenso dell’eroe solo che è portato a riprodursi continuamente per forza endogena.
Credo che con questo ciclo di spettacoli la Societas abbia dimostrato una lungimiranza molto marcata nel trattare una problematica che, sebbene già presente nel biennio 2002-2004, avrebbe raggiunto il suo apice solo una decina di anni più tardi.
E ora possiamo dire che la profezia della Tragedia si è avverata, e ormai siamo tutti eroi tragici che tentano di affermare la propria soggettività in un mondo incapace di ascoltare.
Il secondo esempio di cui vorrei parlare non è un vero e proprio spettacolo, quanto un progetto realizzato all’interno di una compagnia.
Il progetto di cui parlo è PANORAMA, realizzato tra 2017 e 2018 dalla compagnia Motus.
Fondata nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, Motus si definisce una “compagnia nomade e indipendente, in costante movimento tra Paesi, momenti storici e discipline”, come si può leggere sul sito internet della compagnia.
Impegnati da anni nella realizzazione di teatro sociale, l’ultimo progetto portato avanti dalla compagnia è appunto PANORAMA.
A differenza di ciò che è stato trattato finora, tuttavia, PANORAMA non è stato realizzato in ambito europeo, ma negli Stati Uniti della presidenza Trump.
Potrebbe essere definito una “biografia plurale”, che tratta i temi della ricerca dell’altrove per trovare sé stessi. Lo stesso titolo, Panorama, deriva da una parola greca che significa “vedere oltre”, “vedere il più possibile”.
Ed è proprio su questo che il progetto si articola. Il punto di partenza è un gruppo inter-etnico di attori che lavorano nell’East Village di New York. Il gruppo è composto da attori provenienti da quasi ogni parte del globo, che hanno intrapreso un lungo viaggio per arrivare dove attualmente sono, che si sono dovuti confrontare con un Altro e un Altrove spesso molto differente da quello da cui erano partiti.
Lo spettacolo, presentando le biografie di questi attori, rivendica il diritto alla fluidità, alla non appartenenza, al movimento perpetuo che dovrebbe essere proprio di ogni essere umano prima ancora che di ogni attore: una “performance sull’umano diritto a essere in movimento”, come lo definisce la compagnia.
PANORAMA è andato in scena a New York, nell’ambito dell’Under the radar Festival.
Ritengo che sia proprio questo il punto più importante su cui vale la pena soffermarsi: il diritto a restare in movimento. Tutto il teatro, a partire dalle origini per arrivare fino ad oggi è fondato sul viaggio, non solo fisico, ma anche culturale. Un viaggio che può rivolgersi verso gli altri e verso noi stessi. Tutto quello che oggi viene messo in scena nei teatri di tutto il mondo è il frutto delle sperimentazioni, delle idee, del pensiero di chi nel passato, vicino o lontano che sia, ha deciso di mettersi in gioco.
Per queste ragioni vorrei, per il prossimo mese, soffermarmi su una personalità in particolare, uomo di teatro tanto quanto viaggiatore, che ha cambiato il modo in cui la forma teatrale viene vista e che ha lasciato un’eredità estremamente importante a tutti coloro che si occupano di teatro.
Parlare di teatro non è solo restare nel nostro “qui e ora” ma andare alla ricerca di altri luoghi e soprattutto di altri tempi per capire da dove veniamo e, perché no, provare a decidere da che parte andremo.
Per citare Eugenio Barba:
“Il teatro mi permette di non appartenere a nessun luogo, di non essere ancorato a una sola prospettiva, di rimanere in transizione”.
E credo che tutti, attori e persone di teatro in special modo, debbano ora rivendicare questo loro diritto alla fluidità e alla non appartenenza.